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l aspetto. Non c era in lei nulla della maestosa animalità
della Santarcangelese. Aveva una quarantina d anni, era
abbastanza alta, e magra, con un viso asciutto, rugoso,
un lungo naso affilato, e il mento appuntito e sporgente.
Si muoveva rapida, nei lavori era abile e svelta. Pareva
bruciata da un fuoco interno, da una specie d insaziabile
avidità, da una sensualità nervosa e diabolica. Mi lancia-
va occhiate piene di un oscuro fuoco: capii subito che
non avrei trovato in lei l antica passività della Giulia, e
che avrei dovuto tenerla a distanza. Per tutto il tempo
che rimase con me le diedi perciò pochissima confiden-
za. Era, del resto, una ottima donna.
Oltre alla fuga di Giulia, altre novità erano avvenute
in paese durante la mia assenza. Don Giuseppe Traiella
era partito, spedito definitivamente a morire fra le cata-
pecchie malariche di Gaglianello. La notte di Natale
aveva dato i suoi frutti, don Luigino aveva trionfato. Il
Vescovo aveva fatto fare un concorso per la parrocchia
di Gagliano, e proibito a Trajella di parteciparvi. Il suo
successore, don Pietro Liguari, era già arrivato da Mi-
glionico. Aveva trovato una casa confortevole sulla via
principale, vicino alla piazza, e vi si era installato con la
sua governante, e una straordinaria quantità di provviste
da bocca. Lo incontrai sulla piazza, il giorno dopo il mio
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
arrivo, e mi venne incontro con un sorriso cordiale. Era
già informatissimo di me, si disse felice di conoscermi, e
mi invitò a prendere il caffè a casa sua. Se si fosse voluto
trovare qualcuno assolutamente opposto, nell aspetto,
nei modi e nell animo al povero Arciprete misantropo,
relegato nel villaggio sul fiume, non si sarebbe di certo
potuto scegliere altro che don Pietro Liguari. Era un uo-
mo di una cinquantina d anni, di media statura, grosso e
piuttosto grasso, di un grasso pallido e giallastro. Gli oc-
chi erano neri, spagnoli, pieni di astuzia. Aveva un viso
grande e complesso, con un naso un po arcuato, labbra
sottili, capelli neri. Dava l impressione di averlo già vi-
sto, di assomigliare a qualcuno già conosciuto. Rifletten-
doci, l impressione si giustificava. L Arciprete aveva un
viso tipico, il piú italiano possibile in quegli anni. Era un
misto di attore, di prelato, e di barbiere, un incrocio di
Mussolini e di Ruggero Ruggeri. Don Pietro Liguari era
di questi paesi, e probabilmente di famiglia contadina: il
suo viso era pieno di furberia e di finezza, e i suoi modi
insinuanti. Incedeva con una certa solennità, l abito era
pulito, il fiocco rosso del cappello era fiammante, e al
dito portava un anello con un rubino.
Quando entrai in casa sua fui colpito dalla grande
quantità di salami, salsicce, prosciutti, provole, provolo-
ni, trecce di fichi secchi, di peperoni, di cipolle e di agli
che pendevano dalle travi del soffitto, dai barattoli di
conserve e di marmellate, e dalle bottiglie d olio e di vi-
no che ingombravano le dispense. Nessuna delle case
dei signori di Gagliano era certamente cosí ben fornita.
Era venuta ad aprirci la governante, una donna sulla
quarantina, alta e magra, con un viso severo e impene-
trabile, tutta vestita di nero, con un collettino bianco,
senza velo sul capo. Questa donna austera era, lo seppi
poi, una contadina di Montemurro, ottima cuoca, e, se-
condo le male lingue, madre di quattro supposti figli di
Arcipreti, che dovevano essere qua e là, in qualche colle-
Letteratura italiana Einaudi 244
Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
gio della provincia. Don Liguari mi fece fare il giro delle
sue stanze, e ammirare le sue provviste. Verrà qualche
volta a far penitenza con me, mi disse, mostrandomi
del burro fresco, cosa che a Gagliano non esisteva, e che
non avevo piú visto da che ci ero venuto. La mia go-
vernante sa far bene la pasta. Vedrà. Ma ora sediamoci e
prendiamo il caffè . Quando avemmo vuotato le nostre
tazzine, l Arciprete cominciò a parlarmi del paese, a dir-
mi le sue impressioni e a chiedermi le mie. C è molto
da fare qui, mi disse, molto da fare. Direi tutto da fa-
re. La chiesa è in cattivo stato, il campanile deve essere
costruito. I frutti delle nostre terre non ci vengono paga-
ti, o poco per volta e in ritardo. Ma soprattutto c è poca
religione. C è un gran numero di ragazzi che non sono
nemmeno battezzati; e nessuno se ne dà cura, se non so-
no malati e in punto di morte. Alle funzioni non viene
che qualche vecchia, alla messa della domenica la chiesa
è quasi deserta. La gente non si confessa, non fa la co-
munione. Tutto questo deve cambiare, e cambierà pre-
sto, vedrà. Le autorità non se ne occupano, e fanno il
possibile per peggiorare la situazione. Sono dei materia-
listi, e non parlano che di guerra. Credono di essere loro
i padroni del paese, con il loro fascismo. Poverini! Non
sanno che dopo la Conciliazione, i padroni non sono piú
loro, ma noi, che siamo la sola autorità spirituale. La
Conciliazione vuol dir questo: che ora tocca a noi la di-
rezione delle cose, a noi preti. Se il podestà crede di po-
ter essere lui a comandare, si illude! Don Pietro Ligua-
ri qui tacque, quasi pentito di aver parlato troppo: ma
aveva ben capito che con me poteva farlo, senza timore
che io andassi a riferire le sue parole, e ci teneva a ingra-
ziarmisi. Si mise perciò a parlarmi del problema dei con-
finati, e del dovere che egli sentiva, come prete, di veni-
re in loro aiuto e conforto, senza distinzione di opinione
politica o di fede religiosa. Tutto questo era molto bello,
ma i suoi modi insinuanti, e il tono della sua voce, mo-
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
stravano troppo chiaramente come egli, piú che dallo
spirito di carità, fosse mosso da un interesse o da un cal-
colo. E finalmente, dopo questo lunghissimo esordio,
venne al motivo per cui mi aveva chiamato. Bisogna ri-
portare questo popolo alla religione, altrimenti cadrà in
mano degli atei che pretendono di comandare. Anche
chi è di un altra fede lo deve ammettere . E qui mi
mandò un occhiatina significativa. Del resto, tutti pos-
sono essere toccati dalla grazia. Ma per portare alla chie-
sa questi contadini, bisogna che le funzioni diventino
piú attraenti, che colpiscano di piú la fantasia. La chiesa
è povera e nuda, e la parola sola non attira abbastanza.
Perché i contadini tornino a frequentare la Casa del Si-
gnore, ci vorrebbe della musica. Io ho fatto venire da
Miglionico un armonium, l ho fatto portare ieri in chie-
sa. È proprio quello che fa per noi. Ma c è una difficoltà.
Chi lo suona? In paese nessuno sa adoperare quello
strumento. E allora ho pensato a lei, che sa fare di tutto,
che è tanto istruito, ecc. Siamo tutti figli dello stesso Si-
gnore! Le ragioni per cui temeva non accettassi non
mi passarono neppure in mente. Dissi che avevo studia-
to il pianoforte, ma che da moltissimi anni non mettevo
le mani su una tastiera. Avrei potuto provare, ma non mi
sarei potuto impegnare a fargli regolarmente da organi-
sta, ma tutt al piú aiutarlo una volta o due, per fargli pia-
cere. Un po di accompagnamento, se c era chi cantava,
l avrei potuto fare: ma per suonare avrei dovuto farmi
mandare la musica. Risalimmo fino in chiesa, per vedere
lo strumento, che era stato messo di fianco all altare, be-
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